Melodie discontinue: variazioni sulla superficie del tempo
a cura di Davide Sarchioni e Matteo Galbiati
Tamàs Jovànovics, Cesare Galluzzo, Elena Modorati, Patrizia Novello
con Enrico Castellani
La mostra – Melodie discontinue: variazioni sulla superficie del tempo – mette in relazione e confronto le differenti ricerche di quattro esponenti della nuova generazione di artisti – Tamás Jovánovics (Budapest, 1974), Cesare Galluzzo (Milano, 1987), Elena Modorati (Milano, 1969), Patrizia Novello (Milano, 1978) – con la poetica e il linguaggio di Enrico Castellani, che nella sua cinquantennale ricerca si è affermato per un percorso di raffinato rigore sullo studio e l’analisi delle potenzialità espressive e comunicative date dalle estroflessioni ritmiche della tela lasciata monocroma. Comune denominatore di questo dialogo con il grande maestro, oltre ad un’astrazione concentrata e ridotta al minimo nei mezzi espressivi – minimale ma non minimalista – è la traduzione in una dimensione silenziosa e, al contempo, altrettanto dinamica e vitale del rilievo pittorico.
La consistenza superficiale della loro pittura si traduce non in una pacata e misurata trasposizione di un’immagine semplice, ma in un’articolata riflessione sulla potenzialità espressiva dell’oggetto quadro. La bidimensionalità rappresentante del dipingere mutua la superficie delle opere in un luogo vibrante di ogni trasformazione – lenta o repentina – del proprio divenire ed estendersi nel tempo. Risulta allora essere centrale in questo dialogo l’emersione di una scansione inedita della temporalità che dalle loro opere filtra come alterata o inconsueta rispetto al fluire convenzionale. La percezione delle immagini suggerisce quindi l’idea di un tempo peculiare che si rende tangibile alla vista, tradotto nelle forme-colori degli artisti. Tale temporalità, sentita e percepita come valore esistenziale, diventa modo per esprimere la meditazione su un soggetto indeterminabile e ineluttabile per l’uomo quale il tempo, in ragione di un rapporto tra finito e infinito, tra limitatezza e imponderabilità.
La possibilità offerta dalla mostra è di legare il lavoro di artisti differenti ma che trovano proprio nella specificità delle loro storie un invisibile filo sensibile che coerentemente li accomuna. Il dialogo vibrante, esteso sulle superfici e mosso nel corpo delle sostanze delle opere, si offre come principio per la visione di un mistero che si estende oltre la superficie degli stessi lavori per allargarsi al coinvolgimento dell’esperienza e dell’esistenza di chi osserva e condurre lo sguardo oltre la sfera del visibile.
Concomitante è il progetto del fotografo Francesco Minucci (1974) Reality Show, a cura di Davide Sarchioni, una serie in cui l'artista riflette sul concetto di tempo - già di per sé legato alle modalità di sviluppo della pellicola - misurandosi con l'istante dello scatto in relazione all'identità del soggetto ritratto.
Le dodici foto che compongono il lavoro simboleggiano una precisa scansione temporale nell'arco di un anno solare e sono tutte autoritratti in cui l'artista si racconta e si diverte ad impersonare ironicamente personaggi del passato e del presente, reali e irreali, con occhi disegnati su ritagli di carta, creando così uno spiazzamento dovuto alla difficoltà di riconoscre l'identità del modello ritratto, ma soltanto il personaggio da esso rappresentato. Le foto, sono realizzate in analogico e stampate su pellicola volutamente fallata tale da creare un effetto di invecchiamento indecifrabile rispetto alle immagini rappresentate, creando un ulteriore scarto fra la collocazione di ogni singolo scatto in un lasso di tempo determinato rispetto al soggetto rappresentato, ponendosi fuori dal tempo.
IL FRANTOIO
Capalbio (GR)
Piazza della Provvidenza