LE OPERE DEL MAESTRO LIVORNESE IN MOSTRA FINO AL 30 SETTEMBRE
25 agosto: si inaugura a “Il Frantoio” di Capalbio la mostra personale di Armando Tanzini, il grande artista livornese che, dopo aver abbandonato l’Accademia di Belle Arti di Parigi, ha trovato in Africa le proprie fonti di ispirazione più importanti. Le opere resteranno in esposizione fino al 30 settembre nella ormai storica sede di Piazza della Provvidenza 10, dando a tutti i visitatori del borgo maremmano l’occasione di un suggestivo viaggio all’insegna dell’arte e della cultura che unisce la Toscana al Continente Nero.
Armando Tanzini si è formato “geneticamente” alla grande storia dell’ arte etrusca. Compagno di percorso di Warhol, Matta, ha vissuto a Roma, Firenze, Parigi, Londra e negli Stati Uniti come protagonista in tutti gli avvenimenti rivoluzionari nel campo dell’ arte degli ultimi decenni. prima di scoprire la profonda vocazione per la difesa dell’ Africa, dove ha creato la Fondazione “Do Not Forget Africa” (premiata il 2 giugno 2000 dall’ UNESCO).
Da alcuni decenni vive in maniera radicata e attenta in Kenya dove ha conosciuto, assorbito e praticato altre culture espressive. Oggi la sua affascinante casa - che è anche il suo laboratorio - è simile alle botteghe d’arte del ‘500 e del ‘600: una vera e propria scuola in cui giovani artisti collaborano alla produzione delle sue opere.
«Grazie Africa, grazie arte», scrive Tanzini, ricordando che «non c’è un Braque, un Matisse, un Max Ernst che non porti un tatuaggio genetico con una grande Africa incisa sulle proprie cellule».
L’arte africana arriva in Europa ai primi del Novecento, attraverso flussi migratori della colonizzazione francese ; i giovani talenti della nascente Scuola di Parigi intravedono in questo apparente tribalismo un nuovo percorso di stile, ne avvertono il valore e le risorse potenziali. Fanno propria questa creatività proveniente da terre dimenticate, lontane nel tempo.
I nuovi mercanti e nuovi attori dell’arte ne acquisiscono i diritti e non solo: iniziano a collezionare queste opere.
Ogni atelier a Parigi fa mostra di queste magiche presenze del continente equatoriale. Nascono collezioni, si aprono musei.
Si sviluppa così una grande energia spinta da questo vento africano; i coreografi creano balletti noir, gli scenografi ci portano nel cielo nero con una grande luna piena e palme impremée, strumenti di percussione prendono il sopravvento.
Questa musica accompagnerà l’inizio del secolo nella creatività. A Parigi batte il cuore della grande Africa: ballerine, cantanti, musicisti si dipingono di nero. Gli artisti presentano le loro opere nelle nascenti gallerie di arte moderna. Picasso esce fuori dal suo periodo blu, ma il più volumetrico e moderno è Brancusi, lo scultore che aprirà a tutti un percorso di intermediazione, scoprendo così che l’arte africana non è solo uno stile, una moda, artigianato e magia, ma, come la pura arte, spiritualità. Evocare, con la cultura e la creatività europea, gli spiriti è il vero percorso da seguire. Attraverso questa intuizione di Brancusi, Modigliani scopre Modigliani, Picasso sembra geloso, ma riesce anche lui a raggiungersi diventando Picasso. Seguiranno gli altri e tutti formeranno automaticamente una forte corrente che insegnerà per sempre questo rapporto tra l’Africa e l’arte. Non c’è un Braque, un Matisse, un Max Ernest che non porti un tatuaggio genetico con una grande Africa incisa sulle proprie cellule. Ora in Francia l’artista, l’apprendista stregone, entra in una magia per donarla a tutti per il bene di tutti. L’arte è il dialogo di altri mondi per farci sentire tutti uno. I giovani africani vengono a contatto, cento anni dopo, con l’arte moderna e nasce così Basquiat che urla sui muri e sui vagoni dell’underground di New York; migliaia di graffiti senza firma dipingono l’Europa mentre in Africa germogliano i nuovi artisti del post tribale, partecipando all’arte moderna. L’Africa è un grande cuore che sta diventando sempre più grande e invita gli artisti internazionali a cercarla nel suo centro
Grazie Africa, grazie arte.
(Armando Tanzini)
AFRICA, ANDATA E RITORNO
Non sarà facile restituire all’Africa tutto ciò che attraverso il bacino del Mediterraneo, nel corso dei millenni, essa ci ha dato, forse la consapevolezza che noi siamo anche l’Africa, dunque essa è già in noi, potrebbe aiutarci in questo senso, oppure ci potremmo affidare all’arte e ai suoi ambasciatori, gli artisti, che quando non si accontentano dei linguaggi correnti e non lo fanno quasi mai, ne inventano di nuovi ricorrendo all’aiuto della loro più preziosa alleata, la poesia.
Armando Tanzini testimonia col suo lavoro d’artista la validità mediatrice del linguaggio poetico che al di là delle collocazioni geografiche, delle catalogazioni etniche, dei credo religiosi si muove dall’occidente culturale all’Africa in un mirabile esempio di andata e ritorno.
Aprono il corteo impressionanti stele dal volto umano e il corpo di totem che annunciano, attraverso una geometrica quanto complessa simbologia i miti di un continente dove nacque la sfinge e dove, ma non è noto il luogo, si rifugia per rigenerarsi l’araba fenice.
Queste insegne verticali, atavici arcani potrebbero essere portate a braccia da una schiera di eletti in un corteo mistico che annunci all’occidente la riscoperta del mondo; questi adepti, dal volto velato e dal corpo possente giurarono di rinunciare a sé stessi pur di testimoniare il passato nel futuro prossimo.
Seguono, scendendo dalle tele o dai non voluti piedistalli i grandi cavalli arabi, ammaestrati nel portamento ma indomiti nella forma che con la loro possenza paiono invitare femmine seminude a cavalcare i sogni e gli amori di un feminino arcaico e mai volgare, celato talvolta da trasparenti veli di acetato che ne vetrificano, rendendola eterna, la seduzione.
E queste amanti o piuttosto madri, dalle carni bianche o ambrate, senza differenza alcuna, distendono le loro forme tra soffici tessuti e pizzi trasparenti, ammiccando all’amore dunque alla gioventù.
Ecco avanzare i profili dell’Africa, riempiti di dolci sogni e circondati di speranza che testimoniano, in un teatro immaginario, il desiderio irrinunciabile di tornare alle origini, di godere dell’abbraccio della madre, intesa come donna ma anche come terra, albero, pietra, foresta e, perché no, fiera selvaggia.
Queste grandi Afriche dei sogni, territorio degli amplessi degli dei, si muovono in armonia con la materia poetica con cui Tanzini le crea.
Paiono ruotare in un sogno collettivo con una lentezza ipnotica che può dare la vertigine.
I loro perimetri, ossessivamente riprodotti, evocano per magia viaggi e amori, rimpianti e dolori, partenze e ricongiungimenti ma da subito possiedono la capacità di descriverci un artista eccezionalmente forte con la materia e tenero nel tratto che certamente non ha ancora finito di raccontarci tutta la sua storia. (Luca Faccenda)