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WUNDERKAMMERN & IL FRANTOIO sono lieti di presentare Street Art a Capalbio, mostra collettiva degli artisti 2501, Jef Aérosol, Paolo Buggiani, JonOne, L’Atlas, Mark Jenkins, Miaz Brothers, Shepard Fairey (OBEY) e StenLex.

Negli anni ’80 i poster pubblicitari di Haring nelle stazioni della metropolitana di New York, le ombre create da Hambleton negli angoli più tenebrosi della città e le performance di Buggiani il quale, vestito da Icaro, pattinava tra le automobili della città, creavano situazioni di stupore negli osservatori. Le sperimentazioni degli Street Artist di quegli anni hanno subito evoluzioni e declinazioni, oggetto di indagine in questa mostra.

 

In Europa, e in particolare in Francia, Jef Aérosol sperimenta la tecnica dello stencil: i suoi ritratti, realizzati con bombolette spray, sono omaggio sia a personaggi famosi che a persone del tutto comuni, le quali possono colpire la nostra attenzione semplicemente passeggiando per strada.  

 

Lo statunitense Mark Jenkins crea attraverso calchi realizzati con un nastro adesivo speciale delle opere dalle sembianze umane. Le installazioni vengono posizionate all’esterno, davanti a vetrine di negozi, su grattacieli di 40 piani, stimolando il dubbio in chi osserva sulla realtà delle situazioni in cui si collocano.     

Tra gli artisti che lavorano sulla percezione visiva troviamo gli italiani StenLex e Miaz Brothers. StenLex sono gli inventori dello stencil poster: lavorando con lo stencil su un muro, non rimuovono la matrice che renderebbe l’opera riproducibile, al contrario, dipingono sulla stessa affermando l’unicità dell’esito finale.

Nei ritratti dei Miaz Brothers i tratti distintivi dei volti, degli abiti, degli sfondi risultano sfocati a causa dell’utilizzo dell’aerografo: ecco che la mente umana deve attivare un processo di memoria ed associazione iconografica.

 

I graffiti ricoprono decisamente una delle forme più controverse di espressione dell’artista in strada. JonOne, statunitense naturalizzato francese, rende la tag parte integrante della sua opera. Influenzato dall’espressionismo astratto, dai colori forti e vivaci unisce il gesto impetuoso del getto di acrilico sulla tela insieme all’ossessiva ripetizione della tag. Il gesto di scrittura unito al colore è di interesse anche per l’artista francese L’Atlas: studiando e sperimentando varie tecniche calligrafiche, fonde la scrittura con forme geometriche arrivando alla creazione di labirinti che celano il suo nome.

Morbide linee caratterizzano il lavoro di 2501, artista italiano il cui lavoro è caratterizzato da geometrie talvolta riconducibili ad ingranaggi meccanici pur conservando importanti riferimenti alla natura e allo spazio che ci circonda, con particolare riferimento alla coesistenza di spazi positivi e negativi, pieni e vuoti.

 

Il lavoro di Shepard Fairey è stato premiato e riconosciuto a livello internazionale. A partire dalla campagna di sticker di André the Giant del 1989, l’artista ha sviluppato uno stile riconoscibile rappresentando icone dei nostri tempi, tra le quali si inserisce Obama con la campagna politica del 2008. Shepard Fairey afferma la necessità dell’arte di prendere posizione su questioni politiche di interesse globale per quanto riguarda temi ambientali, sociali e di solidarietà.

 

Questa mostra collettiva stimola una riflessione sulle complessità legate ai linguaggi della street art: come collocare una manifestazione artistica nata per strada all’interno delle mura di una galleria?

LINGUAGGI E PROCESSI DELL’ARTE URBANA

 

“Distruggeremo tutti I musei” scriveva Marinetti nel suo Manifesto del futurismo nel 1909.

 

L’arte urbana nasce lontano dai musei e dalle istituzioni. Molti concordano nell’affermare che questa forma di “espressione” sia nata a New York verso la fine degli anni ‘70, in particolare nel South Bronx. Qui nascono le Tags, ovvero le criptiche forme arabesche costituite generalmente da un nome-pseudonimo e da un numero (in moti casi volto ad identificante la strada di appartenenza). “Arma” era il marker, ovvero il pennarello indelebile dalla punta molto spessa, in seguito sostituito dalla bomboletta spray, che poi divenne l’icona del writing e dei graffiti in genere.

Secondo alcuni, quando si inizia a parlare di STREET ART (con tutti i problemi di definizione che l’uso di questa formula comporta), la separazione con il writing diventa abissale.  Oltre ai riferimenti culturali ed estetici, mutano le dimensioni, il rapporto tra legale ed illegale, lo stile e le tecniche utilizzate, il concetto di unicità dell’opera, ed infine a mutare è anche lo sguardo del passante: non più agguerrito ma sempre più sedotto dall’epifania improvvisa di queste opere che talvolta divorano interi palazzi.

Gli anni ‘80 segnano l’ingresso di alcune forme di espressività urbana nel sistema dell’arte. Haring e Basquiat furono certamente noti esponenti della Graffiti art, sebbene siano al contempo, per molti versi, coloro che, per stile e finalità, se ne distanziarono.

Per molti altri invece l’arte di strada diventa un mezzo di comunicazione diretta e riconoscibile, perfetta per veicolare messaggi politici come avvenne nelle opere di Paolo Buggiani.

Agli inizi degli anni ‘80 anche in Europa (in particolare in Francia) si sviluppa l’arte urbana. In questo paese troviamo infatti pionieri, come Jef Aérosol: tra i primi ad utilizzare la tecnica dello stencil, le cui caratteristiche primarie sono quelle della velocità e della riproducibiltà. Le opere di Jef Aréosol colpiscono il pubblico in quanto pongono un accento sull’umanità. Nei suoi lavori infatti personaggi famosi si accostano a volti ignoti, di cui però, secondo l’artista, vale la pena far conoscere le storie e rappresentarle sui muri delle strade.

Ma qual è, se esiste, il rapporto tra il writing e la street art? C’è una totale dicotomia (e quasi incompatibilità) tra queste forme espressive? Davvero l’unica cosa che hanno in comune è il supporto urbano (i muri) sul quale si esprimono?

Per rispondere a queste domande si possono tracciare due filoni in cui si distingue la scena urbana contemporanea: il linguaggio e il gesto. Due estremi che, come vedremo, in alcuni artisti si fondono fino a creare uno stile che le possiede entrambe.

Il linguaggio sembra essere figlio del writing, ma elaborandolo, si trasforma in qualcosa d’altro.

Come Jef Aérosol, anche Obey lavora molto sulle “icone”. Quest’anno ricorre il trentennale di attività artistica di Shepard Fairey (in arte noto come “Obey”), attività iniziata attraverso la diffusione dei suoi primi poster che ritraevano il volto stilizzato del noto wrestler “Andre the Giant”. Da quel lontano 1989, moltissime icone del cinema, della musica, dell’attivismo politico, fino ad arrivare alla celeberrima immagine di Obama, sono stati ritratti nelle opere di Obey. Più che colpiti però dalla loro umanità, siamo colpiti dal significato che quelle immagini inevitabilmente evocano nel nostro immaginario e nella nostra coscienza.

Per L’Atlas, noto Urban artist francese che ha cominciato il suo percorso artistico dipingendo nelle strade di Parigi negli anni ‘90, il linguaggio è il punto di arrivo della propria arte. Il suo forte interesse per la storia della calligrafia l’ha portato infatti a studiarne le tecniche in diversi paesi del mondo. Riuscendo a creare infine una propria tipografia, l’artista ha basato il suo lavoro sulle lettere e sulle forme ricostruendo un proprio linguaggio universale creato da una sintesi tra elementi derivanti dai Graffiti, dall’Astrazione Geometrica, dall’Arte Optical e da quella Cinetica.

Per altri invece il processo è più importante del punto di arrivo.

Come per esempio per Sten & Lex, artisti considerati i padri della tecnica della stencil art in Italia. Per questi artisti, infatti, la tecnica e il processo sono di uguale importanza nel lavoro finito e sono una parte essenziale di esso. Una metafora della vita, in cui il viaggio e la destinazione hanno la stessa importanza. Per loro il processo è talmente fondamentale che seppur usando la tecnica dello stencil, la cui caratteristica è, appunto, quella di essere riproducibile, ne distruggono la matrice negando quindi l’essenza stessa della tecnica utilizzata, rendendo unica la propria opera. Nelle sculture di Mark Jenkins, anche secondo la visione dell’artista, due sono gli elementi rilevanti: il processo attraverso cui si arriva alla realizzazione dell’opera, ed il rapporto tra la scultura e chi con la stessa entra in relazione. The Urban Theater è significativamente intitolata la monografia sull’opera di Mark Jenkins. Nel teatro urbano rappresentato dalle nostre città, le sculture di Mark ci sorprendono, ci fanno riflettere, ci fanno sorridere. L’artista si interroga e ci interroga sulla relazione che abbiamo con lo spazio in cui viviamo e che attraversiamo quotidianamente.

Anche per 2501, artista milanese, l’opera è data dal processo con cui vengono create le sue opere caratterizzate dalle sinuose linee bianche e nere, che lo contraddistinguono. Queste linee rappresentano per lui un flusso di coscienza e lui stesso riconosce il suo stile solo come uno strumento: ciò che conta davvero sono il concetto e la gestualità. JonOne, invece, attraversa entrambe le accezioni unendo sia la sua personale spinta legata alla tag, all’ossessiva ripetizione del suo nome, sia l’impetuosa potenza gestuale che lo porta a sperimentare tecniche di colatura del colore sulla tela, per le quali troviamo forte assonanza con l’espressionismo astratto.

I Miaz Brothers, infine, non sono artisti che hanno alle spalle un lavoro “in strada”, anche se utilizzano prevalentemente delle “pistole” di aerosol per realizzare i loro lavori. Questi artisti ci ricordano, con la potenza evocativa delle loro immagini, che i dubbi sono spesso molto più importanti (e molto più interessanti) delle certezze. Chi mi ricorda questa immagine sfocata? Dove ho già visto questo personaggio? Si tratta di un quadro famoso?

L’assenza di certezze, oltre che condizione umana di base, è particolarmente presente nell’analisi e nello studio del territorio di confine rappresentato dall’arte urbana. Di fatto, come facciamo a parlare di arte urbana all’interno di una mostra all’interno di una galleria?

Link catalogo

 

Artisti: 2501, Jef Aérosol, Paolo Buggiani, JonOne, L’Atlas, Mark Jenkins, Miaz Brothers, Shepard Fairey (OBEY), StenLex

Titolo: Street Art a Capalbio

Vernissage: sabato 20 luglio, 18.30 – 21.30

Location: Spazio espositivo il Frantoio, piazza della Provvidenza 10, Capalbio

A cura di: Giuseppe Pizzuto    

Date: 20 luglio – 18 agosto 2019

SPAZIO ESPOSITIVO IL FRANTOIO

Piazza della Provvidenza, 10 Capalbio                                                                                    

Free entry

Orario: lunedì – domenica 19:00 23:30 o su prenotazione al 3357504436

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