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This Land is your Land
PhC 2015_VII Ed.
a cura di Marco Delogu e Flavio Scollo
prodotto da Maria Concetta Monaci

Opere di: Dimitri Angelini, Piergiorgo Branzi, Marco Cipriani, Marco Delogu, Mohamed Keita, Simone Mauro, Sandro Puleo, Roberto Salbitani, Mario Scipio, Flavio Scollo, Antonio Tofanelli, Antonio Barbieri, Alessandro Cannistrà, Germano Paolini, Benedetto Pietromarchi, Pietro Ruffo, Armando Tanzini, Tindar

Immagini satellitari a cura di Viviana Panaccia e distribuite da e-Geos (ASI/Telespazio)

 

Con la partecipazione di You Khanga

Questa edizione di PhC – Capalbio Fotografia, la settima, intende indagare i legami indissolubili tra noi, la terra e ciò che essa produce. Ragionando sui tempi lenti e scanditi dettati dalla natura, ricercheremo in questi stessi elementi le nostre origini ed interrogheremo il paesaggio sul rapporto che con esso intratteniamo. Lo faremo principalmente attraverso ciò che più identifica il festival, ovvero la pratica fotografica, ma intrecciandone il linguaggio con quelli della narrativa, della pittura, della scultura, del designer, del cinema e con questi mezzi rifletteremo insieme sui suoi significati. La prima volta cercammo ciò che c’era “just around the corner”, ora invece ne prenderemo possesso e dichiareremo, come Woody Guthrie, che “this land is our land”. Questa terra è la nostra terra, ammiriamola, rispettiamola.

Forse nessuno più dei personaggi di Bianciardi è capace di dimostrare un attaccamento così radicato al territorio, tanto che egli stesso quando inviato in un’altra terra, il Maghreb, prende voce e a Tripoli vi scorge un altro luogo a lui più vicino, Marina di Grosseto. Ma era alla maremma che Bianciardi era maggiormente legato e proprio dalla Maremma, luogo ospitante del festival, che partirà quest’edizione per raggiungere simbolicamente la Sardegna, l’Africa e quindi ritornare.

Sarà questo un viaggio che ci permetterà di identificare e descrivere la nostra terra e le nostre radici. Niente più che il territorio e la materia stessa di cui si compone e prende forma, la terra, ci identifica e ci segna. Quella terra a cui noi continuamente facciamo appello con disinvoltura nella quotidianità dei nostri discorsi facendo riferimento alle nostre “radici”. Quella terra a cui nella religiosità si fa riferimento per un suo inesorabile ritorno. Quella stessa terra, infine, che abbiamo abbandonato seguendo il mito della modernità e delle città di cemento e alla quale adesso invece ritorniamo cercandone i ritmi lenti e ben scanditi, cercandone e assaporandone i frutti.

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