Mediterraneo, il mare tra le terre.
PhC 2016_VIII Ed.
a cura di Dimitri Angelini
Opere di:
Kurt Arrigo, Antonio Barbieri, Valentino Bellini, Fabrizio Bellomo, Stefano Cioffi, Dimitris Chantzaras, Marco Delogu, Francesco Fossa, Claudio Greco, Simone Mauro, Uta Neumann, Tommaso Protti, Giulio Rimondi, David Schivo, Grabiele di Stefano, Massimo Sestini, Lapo Simeoni, Caroline Tabet, Bilal Tarabey, Tindar, Tanya Traboulsi, Ado
Intervengono:
Viviana Panaccia, Mauro Canali, Alberto Negri, Gianfranco Iacopo Iacopozzi
Il Mare unisce i paesi che separa. (Alexander Pope)
Sul Mediterraneo è stata concepita l’Europa. (Predrag Matvejevic)
Il Mare non è mai stato amico dell’uomo, tutt’al più complice della sua irrequietezza. (Joseph Conrad)
Il Mediterraneo ha rappresentato per millenni il principale crocevia per lo scambio di idee e di uomini tra le grandi civiltà e culture fiorite sulle sue sponde, ha favorito l’intreccio di traffici e commerci, un intenso scambio di tendenze, la feconda e reciproca contaminazione di piante ed essenze, di colori e profumi.
Con il ciclo di mostre e incontri al Frantoio sul Mediterraneo e i suoi Paesi, vogliamo ricordare come la cultura sia un melting pot molto più vasto e fecondo di quello che riusciamo a concepire, e come l’integrazione possa fondarsi solo sulla consapevolezza di un comune passato.
PhC CAPALBIOFOTOGRAFIA, nato nel 2009 da un’idea di Marco Delogu (direttore dell’Istituto di Cultura Italiana a Londra, direttore artistico di FOTOGRAFIA di Roma) e da Maria Concetta Monaci (presidente dell’Ass. Cult Il Frantoio), è curato quest’anno da Dimitri Angelini che selezionando foto, sculture, installazioni di artisti italiani e di paesi che si affacciano sul Mediterraneo, condurrà all’esplorazione e quindi alla scoperta, conoscenza di popoli, culture e territori.
Il Mediterraneo come mille cose insieme.
Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi dal carattere forte come il Dodecaneso di Stefano Cioffi.
Non un mare, come quello protagonista dei lavori di Gabriele di Stefano, ma un susseguirsi di mari come quelli raccontati dal fotografo maltese Kurt Arrigo che ama profondamente questo elemento parte integrante della sua isola; o come i diversi porti, veri accessi sui mondi, di Simone Mauro.
Non un popolo, ma le moltitudini di genti che lo vivono, come i pescatori ritratti da Fabrizio Bellomo o i migranti di Valentino Bellini.
Non una civiltà, ma molte civiltà, mescolate le une con le altre, come raccontano le foto di David Schivo sulle rovine di Giannutri e come testimonia l’affascinante e poetico lavoro di Francesco Fossa sulla Libia di ieri e di oggi, un progetto foto-storiografico ma anche dal sapore intimo e familiare, che raccoglie immagini scattate dal giornalista e foto del nonno Manfredo Tarabini Castellani, tenente degli Alpini e protagonista nei primi anni ’30 delle esplorazioni italiane in Libia.
Un luogo di incontri (e scontri) di culture, religioni, etnie ed economie, raccontato nelle immagini dei libanesi Caroline Tabet, che nata a Beirut, si forma artisticamente in Francia e torna nel paese d’origine, dove s’interroga attorno al rapporto tra paesaggio urbano e (percorsi esistenziali) le traiettorie umane e, segnata dalle diverse guerre che hanno condizionato la sua giovinezza, affronta il tema della memoria e della perdita; Bilal Tarabey, fotografo e fotogiornalista indipendente che concentra il suo lavoro sulla strada, documentandone la vita; Tanya Traboulsi, di origine libanese, nata in Austria e cresciuta formandosi tra culture profondamente diverse, il cui lavoro esplora sia i temi individuali della appartenenza, identità e memoria, sia le stimmate sociologiche della identità femminile.
La dimensione umana dei soggetti ritratti nel loro quotidiano è ciò che ricerca Giulio Rimondi, fotografo e artista, che, fin dai suoi primi lavori, si concentra e confronta con l’identità mediterranea.
La tedesca Uta Neumann, nel descrivere la “sua” Ibiza fotografa il paesaggio umano, urbano e naturale come rappresentazioni dei desideri e della crescita dell’umanità stessa. Questi paesaggi ci rimandano l’amara rappresentazione del desiderio dell’umanità di sottomettere la natura attraverso l’imposizione di un ordine e di una struttura.
Il Mediterraneo è allo stesso tempo una frontiera di una Europa fortezza; luogo di respingimento più che di accoglienza, come testimonia con i suoi scatti il greco Dimitris Chantzaras, che ha seguito l’esodo del popolo siriano; di rifiuto piuttosto che di accettazione. Di difesa identitaria, invece che di confronto culturale, nel senso più ampio, come denuncia Tindar, che, partendo dal trittico sul quale centinaia di impronte digitali vanno a ricomporre tre nuove impronte, lancia il progetto Tracce, col quale pone in discussione il regolamento di Dublino che obbliga migranti a richiedere asilo nel paese in cui sono stati costretti a registrare le loro impronte digitali, causando spesso ulteriore disfacimento dei gruppi familiari.
Il Mediterraneo è il luogo dove si compiono le battaglie per la vita contro la morte, come ben raccontato dalla scultura Thanatos di Antonio Barbieri (il concetto della morte quale evento inevitabile ed inflessibile viene qui trasposto in un modellato rigidamente geometrico e privo di connotazioni fisiche riconoscibili che porta come risultato ad una figura spettrale, alienante, ma sorprendentemente calma e familiare) e Tepee di Lapo Simeoni, la tenda /rifugio realizzata con i teli termici per soccorso che forniscono il primo abbraccio ai naufraghi; per il potere, come testimoniato dal reportage di Tommaso Protti “Turkish blue gold” che dimostra che anche l’acqua, come già il petrolio, sia ormai una risorsa naturale messa al servizio del potere più che della vita umana; per la democrazia, come testimonia la marea di proteste che sotto l’etichetta di Primavera Araba dilaga in Nord Africa e nel Medio Oriente. La spontaneità della ribellione, la grande partecipazione giovanile, l’imponenza delle manifestazioni di piazza e il carattere non violento del movimento sono nella mostra evocati dalla scultura PC Bomb di Claudio Greco, una “vera” bomba a mano realizzata con i tasti dei pc.
Una sezione di CAPALBIOFOTOGRAFIA dedicata al Mediterraneo visto dall’alto è curata da Viviana Panaccia, curatrice ed esperta di comunicazione e divulgazione scientifica. La sezione mostra tramite immagini satellitari e foto zenitali di forte impatto emotivo i contrasti e la fragilità di un mare ricco di tradizioni e di culture ma anche di conflitti. Le immagini satellitari rimandano dallo spazio una visione delle coste mediterranee ricche di vegetazione e di pini, ma anche di deserto, di colture dell’olivo e della vite simboli della mediterraneità; immagini di isole, luoghi di quiete, ma spesso anche di esilio e prigione, approdo ora di migranti in fuga. La parte fotografica comprende opere di Massimo Sestini, vincitore World Press Photo 2015 – sezione General News, tra i più importarti premi internazionali per la fotografia di reportage, e include alcune foto zenitali di barconi di migranti in mezzo al Mediterraneo, scattate da un elicottero.
Le immagini satellitari provengono dagli archivi dell’Agenzia Spaziale Europea e dell’Agenzia Spaziale Italiana.
La mostra si arricchisce del contributo in immagini e testi di Gianfranco Iacopo Iacopozzi, giornalista inviato della più importante agenzia di stampa internazionale, grossetano di adozione, che mette a disposizione parte della sua esperienza professionale raccontando lo splendido patrimonio archeologico che in Libia rischia di sparire.
A conclusione della manifestazione, in data da stabilire, una importante tavola rotonda condotta dallo storico Mauro Canali e Alberto Negri, giornalista esperto di Medio Oriente. Il 15 aprile verranno resi noti i tre vincitori del concorso fotografico lanciato l’1 febbraio e i lavori esposti in una sezione dedicata del festival.
Con la collaborazione di Michael Lowell, Fondazzjoni Patrimonju Malti (www.patrimonju.org), e di Camille Najm, ricercatore e analista politico.
Con il contributo di foto e testi di Jacopo Jacopozzi, già coordinatore e capo redattore della Associated Press in Italia.
Dibattiti curati e mediati da Alberto Negri (giornalista e reporter di guerra) e da Mauro Canali, storico e professore ordinario di storia contemporanea all’Università di Camerino, uno dei maggiori conoscitori delle culture e dinamiche politiche, economiche e sociali del Medio Oriente.